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Il rosso del panno Casentino

Il panno Casentino, quando l’arte della lana diventa il simbolo di una comunità

Verde, come le foreste casentinesi. Arancione, come le foglie durante i mesi autunnali, quando la natura sembra morire per poi tornare a splendere nelle lunghe giornate di primavera.

Questi sono i colori tipici del Panno Casentino, tessuto che rappresenta la storia della valle di cui è originario e porta il nome: qui la lavorazione della lana è sempre stata favorita dall’abbondante presenza di acqua, di legname e dalle numerose greggi. Tale attività ha origini antichissime: già nel XIV secolo, i tessitori locali erano conosciuti e apprezzati all’interno della Repubblica Fiorentina, a tal punto da beneficiare di particolari privilegi. Intorno al 1830 Stia divenne il fulcro della produzione tessile toscana, grazie alla presenza del Lanificio. 

Lo stabilimento sostituiva i piccoli opifici localizzati lungo il torrente Staggia, uno dei primi affluenti dell’Arno che nasce sul vicino Monte Falterona, e fu “il primo significativo esempio di fabbrica accentrata con macchine e 260 operai”. Sempre nello stesso periodo anche nella località di Soci venne alla luce un complesso industriale della stessa natura, e per oltre un secolo la produzione di pannilana è stata un’attività economica in costante espansione, che ha conferito notorietà e benessere al territorio. 

Nel secondo dopoguerra, entrambe le fabbriche risentirono di vicende sfavorevoli come fallimenti e repentini cambi di gestione, e ciò comportò un progressivo abbandono delle strutture. Tuttavia Simonetta Lombard, ultima erede della famiglia che per oltre sessant’anni ha detenuto la proprietà del Lanificio di Stia, attraverso la Fondazione intestata a lei e alla memoria del padre Luigi, è riuscita ad avviare il recupero dell’opificio mediante la creazione del Museo dell’Arte della Lana. Il Museo, inaugurato nel 2010, è una sorta di enciclopedia interattiva del Panno e del settore tessile in generale, ed accompagna i visitatori in un percorso dove è possibile toccare i tessuti con mano, vedere da vicino i telai e le macchine da lavoro, apprendere la cultura e le tradizioni locali.

Inoltre, in aggiunta ai vari eventi e le mostre che si tengono periodicamente, sono organizzate attività didattiche di laboratorio per avvicinare i bambini alla scoperta delle fibre tessili.

Quali sono le peculiarità principali del Panno Casentino, noto anticamente anche come panno grosso?
Innanzitutto, una resistenza straordinaria, ottenuta attraverso la cosiddetta follatura, che consiste in un processo di finissaggio in grado di rendere il tessuto impermeabile.

Un altro punto di forza è rappresentato dall’elevata longevità garantita da una struttura a doppio strato estremamente solida. Dal punto di vista estetico, il tratto distintivo è costituito dalla rifinitura ‘a ricciolo’, ottenuto inizialmente grazie alla sfregatura della lana con la pietra e poi, con la modernizzazione industriale, tramite la rattinatura o ratinatura.

Da principio il tessuto fu prodotto esclusivamente per i monaci dell’Eremo di Camaldoli e i frati francescani della Verna, e ancora i panni non erano raffinati ma avevano come unica finalità la capacità di fornire calore a chi li indossava.

Il miglioramento qualitativo deli prodotti lanieri fu graduale, e spesso ostacolato dai Magistrati dell’Arte della Lana di Firenze. La Corporazione impose che gli indumenti fossero destinati esclusivamente ai lavoratori, e per questo la rifinitura doveva essere grossolana anziché pregevole.

Soltanto l’intervento di Francesco III di Lorena nel 1738 permise la liberalizzazione del commercio e della produzione dei pannilana in tutto il Granducato di Toscana, rendendo così possibile lo sviluppo del settore nelle località Casentinesi durante il secolo successivo.

Il tradizionale colore arancione, che ancora oggi è il più diffuso e caratteristico, ha un’origine assai curiosa: in realtà la scelta cromatica non è stata frutto di una decisione ponderata bensì di un probabile errore di tintura.

Il risultato ottenuto dalla lavorazione non fu un rosso vivo come previsto, ma un insolito arancio che già all’epoca riscosse un successo inatteso. Per quanto riguarda il colore verde, “inizialmente fu accostato a quello arancio come fodera, fu insomma un’espressione di buon gusto a generarlo visto che i due colori si completavano così bene; successivamente il verde s’impose come l’altro colore base nella tavolozza del panno Casentino resa modernamente policroma dalle esigenze della moda”.

La fabbricazione del Tessuto Casentino col tempo è diventata sempre più accurata, a tal punto da conferire ai pannilana una notorietà di caratura internazionale, come dimostra il fatto che siano stati indossati dal Barone Bettino Ricasoli, dai musicisti Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini, e addirittura da Audrey Hepburn nel film Colazione da Tiffany.

Attualmente a Stia due aziende si occupano della produzione tessile tipica del territorio e della sua commercializzazione: la TACS e la Tessilnova, quest’ultima situata proprio nel complesso dell’antico Lanificio.

La gamma dei capi d’abbigliamento in panno Casentino nel corso del tempo si è estesa e diversificata: oltre ai tradizionali cappotti, comprende borse, coperte, plaid, sciarpe, cappelli e altri accessori.
Questo tessuto non è soltanto espressione di raffinatezza ed eleganza, ma avendo radici lontane di almeno sette secoli, riflette l’evoluzione della comunità in cui è stato sviluppato.

Il settore tessile è stato fin dagli albori il principale mezzo di sostentamento di numerose famiglie, assieme alle attività agricole e forestali a cui inevitabilmente era connesso. Il progresso della meccanizzazione ha dato poi l’impulso alla trasformazione di un prodotto già pregiato in una vera e propria eccellenza.

Un simile risultato non sarebbe mai stato raggiunto senza la partecipazione attiva della popolazione locale, che grazie ai propri saperi, al lavoro e un viscerale senso d’appartenenza al territorio, si è resa artefice di un successo tale da attraversare le strade impervie della valle casentinese e varcare ogni confine.

Alberto Marioni.

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